
I fibromi uterini, noti anche come miomi o leiomiomi, sono i tumori benigni più comuni dell'apparato riproduttivo femminile. Colpiscono fino all'80% delle donne in età fertile e possono causare una serie di sintomi, tra cui sanguinamento mestruale abbondante, dolore pelvico e infertilità. Sebbene la causa esatta non sia ancora del tutto compresa, diversi studi clinici ed epidemiologici suggeriscono che la dieta possa svolgere un ruolo significativo nel loro sviluppo e trattamento. Un elevato apporto di frutta e verdura, soprattutto di agrumi, mele, cavoli, broccoli e pomodori, è stato associato a un ridotto rischio di fibromi uterini. Si ipotizza che i fitonutrienti presenti in questi alimenti, come carotenoidi, polifenoli e flavonoidi, possano esercitare effetti antiproliferativi, antinfiammatori e antifibrotici. Uno studio prospettico su donne afroamericane ha evidenziato una riduzione del rischio di fibromi con il consumo di quattro porzioni di frutta e verdura al giorno rispetto a una sola porzione. D’altro canto, un elevato apporto di grassi, in particolare di acidi grassi trans, potrebbe aumentare il rischio di fibromi uterini. Al contrario, gli acidi grassi omega-3, presenti nel pesce, potrebbero avere un effetto protettivo, sebbene siano necessarie ulteriori ricerche per confermare questa associazione. I dati sul ruolo dei latticini nello sviluppo dei fibromi uterini sono contrastanti. Alcuni studi hanno osservato un'associazione inversa tra il consumo di latticini, in particolare yogurt, e il rischio di fibromi, mentre altri no. Si ipotizza che i componenti antitumorali presenti nei latticini, come calcio, vitamina D, acido butirrico e proteine del latte, possano avere un effetto protettivo. Stessi dati contrastanti anche rispetto alla carne rossa. Numerose ricerche osservazionali hanno evidenziato una correlazione tra i livelli sierici di vitamina D e la presenza e le dimensioni dei fibromi uterini: le donne con livelli di vitamina D più bassi tendono ad avere un rischio maggiore di sviluppare fibromi e fibromi di dimensioni maggiori. Uno studio clinico italiano ha dimostrato che la correzione dell'ipovitaminosi D attraverso l'integrazione in donne con fibromi ha ridotto la necessità di trattamento chirurgico o medico. Questo e altri studi supportano l'ipotesi che la vitamina D possa svolgere un ruolo significativo nella prevenzione e nel trattamento. I meccanismi proposti includono l'azione antiestrogenica della vitamina D, la sua capacità di inibire la proliferazione cellulare dei fibromi e il suo effetto sulla regolazione del sistema di riparazione del Dna. Alcune ricerche indicano un'associazione inversa tra l'assunzione di vitamina A, in particolare da fonti animali, e il rischio di fibromi uterini; altre, invece, suggeriscono un'associazione positiva tra vitamina A e rischio, attribuendola alla possibile attivazione dei recettori Ppar da parte di alti livelli di vitamina A. Gli studi clinici si sono concentrati maggiormente sui retinoidi, derivati sintetici della vitamina A, dimostrando la loro efficacia nel ridurre la proliferazione cellulare, la formazione della matrice extracellulare e nell'indurre l'apoptosi nelle cellule dei fibromi. Gli studi attuali non indicano un'associazione significativa tra l'assunzione di vitamina C e l'incidenza. I dati sul ruolo della vitamina E sono limitati e non conclusivi. Alcuni studi suggeriscono una possibile associazione positiva, dovuta all’attività di modulazione da parte della vitamina E sui recettori degli estrogeni, implicati nella patogenesi dei fibromi. Silvia Ambrogio

MI SENTO DI CONDIVIDERE UN ARTICOLO CHE DOVREBBE FAR RIFLETTERE MOLTE PERSONE. Il caso è per fortuna fuori dall'ordinario, ma in molte famiglie, le ciambelle sono numerose merendine o brioches e l'hamburgher in eccessi di carne, farina 00 raffinata e grassi. Ovvero discostano molto poco da questo caso. IL LINK: https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/11/03/mangia-solo-hamburger-con-salsa-ranch-patatine-ciambelle-glassate-e-succhi-di-frutta-ragazzino-diventa-cieco-il-caso-studio-denuncia-gli-effetti-del-junk-food/7753591/ IL TESTO COMPLETO: Hamburger con salsa ranch (cioè con maionese e panna), patatine fritte, ciambelle glassate e succhi di frutta in brick: una dieta limitatissima, quella del ragazzino del Massachusetts, improntata soprattutto su junk food. Alla base di questa selettività c’è l’ARFID (disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo). “L’alimentazione selettiva è comune in pazienti con autismo e ha comportato [nel caso del bambino] carenze nutrizionali associate a disturbi riguardanti il nervo ottico e la retina”, scrivono gli autori del caso di studio pubblicato sul NEJM. Gli autistici hanno infatti dei disturbi sensoriali che si riflettono anche su certi cibi, il cui odore, sapore o consistenza non sono tollerati. Proprio per la consistenza il piccolo americano preferiva quei pochi alimenti, trascurando al massimo i vegetali – tranne i succhi in brick, che per gli esperti non sostituiscono del tutto il frutto fresco. Rifiutava inoltre cibi nuovi e vitamine. E così, una notte si svegliò urlando che non ci vedeva più e fu portato al Boston Children’s Hospital. Cecità permanente Qui i genitori raccontarono che solo sei settimane prima il bimbo aveva cominciato ad avere la visione offuscata mattina e sera, senza che l’optometrista rilevasse nulla. Si appoggiava sempre di più a loro camminando, sbatteva contro porte e muri e aveva gonfiore e croste intorno agli occhi. Poi, d’improvviso, la visione limitata solo a sagome e colori, senza distinguere movimenti e dettagli degli oggetti. I medici diagnosticarono un’atrofia del nervo ottico: lentamente, le cellule nervose avevano cominciato a morire senza segni evidenti. Escludendo altre cause – traumi, infezioni, esposizioni a tossine o a radiazioni – si focalizzarono su una grave carenza di nutrienti causata dalla dieta ristretta: “C’è in particolare una forte evidenza a sostegno della diagnosi delle deficienze di vitamina A, rame e zinco”, si legge nello studio. Oltre a ciò, osservarono deficit di vitamina D, C e K. La somministrazione di vitamine e minerali ristabilì i livelli corretti ma non poté rimediare al danno ottico. I nutrienti mancanti La carenza di vitamina A è tra le principali cause di cecità nei bambini: secondo l’OMS, a livello globale sono 500.000 i piccoli che ogni anno perdono la vista perché non assumono abbastanza vitamina A. Questa è infatti fondamentale per i fotorecettori della retina e per la sensibilità alla luce, e aiuta la visione in condizioni di scarsa luminosità. La vitamina D previene la secchezza oculare, mentre la C protegge dai raggi UV e la K migliora il microcircolo. Rame e zinco sono protettivi della retina. Così il piccolo, certo giustificabile perché autistico, affetto da sindrome da deficit di attenzione (ADHD) e con ritardi cognitivi, linguistici e motori, si privava di preziosi nutrienti. “Il suo è un caso limite, ma probabilmente c’è anche un altro problema oltre a quello sensoriale, forse neurologico non diagnosticato”, osserva il dott. Andrea Coco di Pontedera (PI), esperto di nutrizione clinica, che tra l’altro si occupa della dieta di adolescenti autistici. Malassorbimento dei cibi “L’alimentazione selettiva è un comportamento specifico di questi ragazzini, che hanno un vero e proprio craving per alcuni cibi ricchi di zuccheri semplici. Gli alimenti diventano una boa di salvezza cui aggrapparsi, un rituale e un modo di affermare se stessi”, osserva il dott. Coco. Purtroppo questi cibi ricchi di zuccheri semplici appartengono spesso alla categoria dei junk food, contro cui da anni mette in guardia la scienza. A febbraio, per esempio, uno studio uscito sul BMJ ha individuato legami tra junk food e 32 problemi di salute, tra cui tumori, cardiopatie, malattie polmonari, diabete 2, obesità, ansia, morte prematura. Altri studi hanno denunciato deficit di attenzione in bambini e adolescenti e problemi di salute mentale negli adulti. Certo, non ci vuole un giorno per avere problemi seri, ma purtroppo appare in crescita la diffusione del junk food, tra l’altro a buon mercato e capace di allontanare da alimenti freschi ricchi di nutrienti. “[I cibi spazzatura] possono rappresentare fino al 58% dell’apporto energetico totale quotidiano in alcuni paesi a reddito alto, e negli ultimi decenni stanno rapidamente aumentando in molte nazioni con redditi bassi e medi“, scriveva a febbraio la rivista Scimex, presentando lo studio del BMJ. Non senza conseguenze. “Il junk food promuove un’infiammazione generalizzata di basso grado che coinvolge anche il funzionamento della barriera epiteliale, riducendo così l’assorbimento dei nutrienti”, spiega Coco. “Ne derivano difficoltà nell’assorbimento dei nutrienti, di cui tra l’altro il junk food è poverissimo”. Se questa situazione si inserisce in un quadro già complesso come quello dei ragazzi autistici – spesso affetti da problemi di funzionamento intestinale, sottolinea il medico – la malnutrizione è praticamente garantita. “Occorre allora effettuare una riprogrammazione, aiutandosi con i probiotici per modificare il segnale e togliere il craving biochimico, per poi agire sulla dipendenza mentale e la ritualità, in team con gli educatori”, conclude il medico.

Uno studio dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano evidenzia il legame tra batteri intestinali e risposta all’immunoterapia nel melanoma avanzato, aprendo a nuove strategie terapeutiche e vaccini personalizzati. La ricerca ha coinvolto 23 pazienti in cura all’IEO e al Pascale di Napoli, affetti da melanoma inoperabile e candidati a ricevere la terapia che, bloccando la proteina linfocitaria PD-1, riattiva la risposta immunitaria antitumorale. Da ciascun partecipante sono stati raccolti dati clinici e diversi campioni biologici, sia prima dell’inizio della terapia che mensilmente durante il periodo del trattamento (fino a 13 mesi), consentendo così di associare variazioni del microbiota intestinale con altri marcatori infiammatori ematici. Da un’analisi approfondita dei geni batterici emerge che il microbiota intestinale dei pazienti responsivi all’immunoterapia è arricchito di alcuni geni che portano alla sintesi di peptidi (frammenti di proteine), i quali mimano esattamente la struttura di alcuni dei principali antigeni tumorali espressi dalle cellule di melanoma. Poiché la somiglianza consente a linfociti diretti contro i peptidi batterici di riconoscere anche i loro analoghi tumorali, l’immunità antitumorale ne esce rafforzata. Questa scoperta consentirà in breve tempo di condurre uno screening dei pazienti candidati a immunoterapia grazie ad un test ematico per ricercare linfociti che riconoscono i peptidi batterici analoghi a quelli del melanoma. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Cell Host and Microbe. - FNOB -

La salvia è stata associata in passato a diverse proprietà curative. Considerata una buona fonte di antiossidanti, contiene vitamine che si rivelano preziose alleate del funzionamento del metabolismo e minerali in grado di aiutare cuore, ossa, denti e cervello. Ma non solo, perché secondo il gruppo di ricerca di Università di Padova e Istituto Veneto di Medicina Molecolare guidato da Andrea Alimonti e Monica Montopoli, dalla salvia haenkei potrebbe arrivare una nuova possibile arma anti-invecchiamento in grado di attaccare le cellule senescenti. “Gli studi pre-clinici condotti dal nostro team di ricerca hanno dimostrato che una bassa dose di un estratto botanico di salvia haenkei (Haenkenium, Hk) può prolungare l’aspettativa di vita in modo più sano” ha spiegato Alimondi. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature Aging.

È ormai noto quanto l’alimentazione incida sul nostro stato di salute. Malattie cardiovascolari, tumori, ma anche il declino cognitivo possono essere accelerati oppure ritardati grazie a una dieta corretta ed equilibrata. In merito a ciò, nuove ricerche hanno messo in evidenza la correlazione tra un regime alimentare sano e l’invecchiamento cerebrale. In particolare, uno studio ha seguito oltre tremila persone per ben 75 anni per dimostrare come mangiare bene fin da giovani possa aiutare il cervello a mantenersi attivo anche da anziani. I cibi in grado di fornire un concreto sostegno si sono rivelati – e non è una sorpresa – frutta e verdura, legumi e cereali integrali. In più per mantenere un’alimentazione effettivamente sana non bisogna eccedere con zuccheri aggiunti e cereali raffinati, così come suggerito dalle linee guida dietetiche Usa 2020-2025. Dunque, mangiare bene aiuta a invecchiare bene.

Gli emulsionanti sono stati messi sotto la lente d’ingrandimento degli scienziati con l’accusa di contribuire a obesità, cancro, malat-tie cardiovascolari e infine – come scoperto in un recente studio prospettico di coorte NutriNet – a diabete di tipo 2. Questi composti “messi alla sbarra” fanno parte di una famiglia di additivi alimentari universalmente utilizzati per migliorare consistenza, forma, colore e gusto in molti cibi processati e ultra-processati. Inoltre sono utili a miscelare liquidi come acqua e oli grazie ai loro legami polari. Sono additivi che si trovano nella maggior parte dei cibi tra gli scaffali dei supermercati: cioccolato, bis-cotti, prodotti da forno, maionese, salse e altri tipi di olii. Nonostante sulla base di criteri di citotossicità e genotossicità siano considerati sicuri per l’alimentazione, sono sempre più in aumento le evidenze scientifiche dei loro effetti sulla salute, in particolar modo le conseguenze sono negative per il microbiota intestinale con rica-dute su infiammazioni ed alterazioni metaboliche. Tra i 61 emulsionanti identificati, sono sette in particolare quelli associati al rischio di sviluppare diabete di tipo 2: E407 (carragenine totali), E340 (esteri di poliglicerolo di acido ricerolo), E472e (es-teri di acidi grassi), E331 (citrato di sodio), E412 (gomma di guar), E414 (gomma arabica), E415 (gomma di xantano), oltre a un gruppo chiamato ”carragenine”. Nello specifico, gli additivi sono stati assunti nel 14,7% da prodotti come biscotti e torte, nel 10% da prodotti lattiero-caseari e nel 5% da frutta e verdura ultra lavorata. - FNOB-

Un gruppo di ricercatori coordinato dall’Università di Padova ha scoperto un meccanismo d’azione con cui l’acido acetilsalicilico sembra attivare una risposta immunitaria contro il cancro del colon-retto. «Nella prima parte dello studio – spiega Marco Scarpa, coordinatore del gruppo di ricerca – abbiamo analizzato retrospettivamente campioni e dati di pazienti con diagnosi di cancro al colon-retto operati tra il 2015 e il 2019. Abbiamo quindi studiato, sempre in campioni ottenuti dai pazienti, l’espressione dell’mRNA dei geni associati alla sorveglianza immunitaria nelle cellule primarie di cancro del colon-retto di pazienti che assumevano acido acetilsalicilico». Rispetto ai campioni di tessuto di pazienti che non assumevano il farmaco, quelli ottenuti da pazienti che lo assumevano hanno mostrato una minore diffusione del cancro ai linfonodi e una maggiore infiltrazione di cellule immunitarie nel tumore. Nelle analisi sulle cellule tumorali di colon-retto in laboratorio, l’esposizione di tali cellule all’acido acetilsalicilico ha causato un aumento della proteina CD80, un modulatore della funzione immunitaria. Tale incremento sembra aver migliorato la capacità delle cellule di allertare altre cellule di difesa sulla presenza di proteine associate al tumore. A sostegno di questa scoperta, i ricercatori hanno anche evidenziato che nei pazienti con cancro del colon-retto, chi assumeva acido acetilsalicilico avevano livelli di proteina CD80 più elevati nel tessuto rettale sano, suggerendo così che il farmaco induca un effetto di sorveglianza immunitaria. L’articolo dal titolo “IMMUNOREACT 7: Regular aspirin use is associated with immune surveillance activation in colorectal cancer” è pubblicato sulla rivista Cancer.

Le spezie e le erbe aromatiche tipiche della dieta mediterranea hanno benefici significativi nel migliorare lo stato glicemico nel diabete di tipo 2. Non tutte, però: il palmares comprende zenzero, cannella e cumino nero, curcuma e zafferano. Il dato emerge da una review e metanalisi, pubblicata su Nutrients. Nell'analisi di 77 studi, 45, che hanno coinvolto 3.050 partecipanti, sono stati inclusi nella metanalisi e 32 nella revisione sistematica. I criteri di inclusione degli studi prevedevano pazienti adulti con diabete di tipo 2, con dati sulla glicemia a digiuno e/o emoglobina glicata e/o insulina e comprendevano qualsiasi integrazione con cumino nero, chiodi di garofano, prezzemolo, zafferano, timo, zenzero, pepe nero, rosmarino, curcumina, cannella, basilico e/o origano. Il numero di studi su chiodi di garofano, prezzemolo, timo, pepe nero, rosmarino, basilico o origano e la loro associazione con i fattori glicemici nei soggetti con diabete di tipo 2 era insufficiente, quindi l'analisi si è concentrata principalmente sui restanti cinque ingredienti: cannella, curcumina, zenzero, cumino nero, zafferano e rosmarino. Sono stati osservati miglioramenti nella glicemia a digiuno dei soggetti con diabete di tipo 2 con tutti e cinque gli ingredienti. Tuttavia, le diminuzioni più significative, tra 17 mg/dl e 27 mg/dl, si sono verificate dopo l'integrazione con cumino nero, seguito da cannella e zenzero. Solo lo zenzero e il cumino nero sono stati associati a un miglioramento significativo dell'emoglobina glicata e solo cannella e zenzero sono stati associati a una diminuzione significativa dei valori di insulina. Degli 11 studi che includevano la cannella nella metanalisi, sei hanno riportato differenze significative nella glicemia a digiuno, mentre quattro avevano differenze nell'emoglobina glicata dopo l'integrazione. Infine, lo zenzero è stato l'unico componente associato a una diminuzione significativa in ciascuno dei tre risultati esaminati relativi a glicemia a digiuno, emoglobina glicata e insulina. (E.T.)

Ho trovato questo articolo molto utile. Aggiungerei soltanto che, di conseguenza, non solo il tipo di alimenti, ma la corretta forma in cui lo si assume, non è da sottovalutare. https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/m/metalli-pesanti-negli-alimenti?fbclid=IwAR3jDJmE2UT3zDNC0Rqt-8UeAHxtB-UEgy8QSStJGpDq_iiw2uK25m0hnUM_aem_AUHiqQz_roPYKrb_9d9DwPVfd8acu1p4ErVkMCB4uCVguAC7dysKDh7F0oabkYNO1nf7VlfQN_dmncjx8XpTnsN3