Dott.ssa angela de laurentiis, PhD. Nutrizionista specializzata in patologie Oncologiche e ricercatrice in oncologia sperimentale

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MELANOMA, IMMUNOTERAPIA PIÙ EFFICACE CON DIETA RICCA IN FIBRE

21 gennaio 2022
Una dieta ricca in fibre migliora la risposta all’immunoterapia nei pazienti con melanoma grazie a un’azione diretta sul microbiota intestinale. Questi i risultati di uno studio, pubblicato su Science, che ha visto la collaborazione del National cancer institute (Nci), appartenente ai National institutes of health americani, e dell’Anderson cancer center dell’Università del Texas.
Si tratta di una ricerca che ha messo insieme dati clinici e sperimentali rispetto agli effetti che una dieta ricca in fibre piuttosto che l’impiego di probiotici possono avere sul tempo di progressione della malattia in pazienti con melanoma trattati con inibitori dei checkpoint immunitari, in particolare gli anti Pd-1 che stimolano i linfociti T ad attaccare le cellule tumorali.
Questo approccio farmacologico, che aiuta a ripristinare la capacità naturale del sistema immunitario di riconoscere e uccidere le cellule tumorali, ha rivoluzionato la terapia del melanoma, migliorando anche di anni la sopravvivenza di pazienti con malattia avanzata. In molto casi, però, si rivela inefficace e diversi studi hanno suggerito un ruolo dei batteri intestinali nell’influenzare la risposta clinica.
Tra questi, uno degli stessi Autori che in precedenza aveva messo in evidenza come un trapianto fecale da pazienti responder a non responder avesse determinato, in questi ultimi, una maggiore capacità di contrastare la malattia. In aggiunta, un lavoro sempre interno all’Nci, aveva evidenziato, su modelli animali, la capacità della pectina, una fibra contenuta nella mela, di bloccare la crescita del tumore attivando i linfociti e rimodellando la risposta immunitaria.
Nel nuovo studio, i ricercatori hanno preso in esame diversi indicatori nelle persone in terapia, dal microbiota fecale, alle abitudini alimentari, all’impiego di probiotici.
Tra i 128 pazienti di cui era nota l'assunzione di fibre alimentari, quelli che hanno riferito di consumarne almeno 20 g/die, quantità ritenuta dai ricercatori sufficiente allo scopo, hanno fatto registrare la sopravvivenza maggiore, con una riduzione progressiva del 30% del rischio di ripresa della malattia ogni 5 g in più di fibre giornaliere consumate.
Contemporaneamente, i ricercatori sono andati a misurare in modelli murini di melanoma l’effetto delle fibre sulla risposta al trattamento con anti-PD-1, verificando così come una ricca di fibre determinasse un rallentamento nella crescita del tumore dopo il trattamento, rispetto a quanto osservato in topi trattati con una dieta povera di fibre.
Hanno poi ripetuto gli esperimenti su topi germ-free, osservando che la dieta non aveva alcuna influenza sulla risposta all’immunoterapia, segno evidente che l’effetto si può ottenere solo modificando una microflora già presente.
“Una delle possibili spiegazioni sta sicuramente nel fatto che la fibra aumenta a livello intestinale la presenza di specie batteriche, come le Ruminococcaceae, che sono forti produttori di acidi grassi a catena corta con effetto antitumorale”, dice Giorgio Trinchieri, direttore del Laboratory of integrative cancer immunology al Nci e tra gli Autori dello studio.
“Proprio nei topi, abbiamo visto un aumento, per esempio di uno di questi acidi grassi, il propionato, mentre nei pazienti, l’esame fecale ha rilevato che chi rispondeva meglio alle terapie registrava una forte presenza a livello intestinale proprio di Ruminococcaceae”.
Oltre alle fibre, i ricercatori hanno anche esaminato l'impatto dei probiotici sulla risposta terapeutica riscontrando, però, in questo caso, un effetto opposto, ovvero una maggiore progressione della malattia benché, come sottolineano loro stessi, il numero di pazienti trattati fosse piuttosto esiguo e la tipologia di probiotici assunti eccessivamente eterogenea.
"I nostri risultati confermano che il microbiota intestinale è in grado di influenzare la risposta all'immunoterapia e che una dieta ricca di fibre, ovvero di frutta, verdura e legumi, potrebbe migliorare gli esiti delle cure", conclude Trinchieri.
"Di certo sono molti i fattori in grado di determinare il successo di queste terapie innovative nei pazienti con melanoma, ma i nostri dati sembrano svelare un ruolo chiave del microbiota intestinale, modulabile più con un’alimentazione mirata piuttosto che con il ricorso a probiotici”.

Autore: Fatto Quotidiano 11 novembre 2024
MI SENTO DI CONDIVIDERE UN ARTICOLO CHE DOVREBBE FAR RIFLETTERE MOLTE PERSONE. Il caso è per fortuna fuori dall'ordinario, ma in molte famiglie, le ciambelle sono numerose merendine o brioches e l'hamburgher in eccessi di carne, farina 00 raffinata e grassi. Ovvero discostano molto poco da questo caso. IL LINK: https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/11/03/mangia-solo-hamburger-con-salsa-ranch-patatine-ciambelle-glassate-e-succhi-di-frutta-ragazzino-diventa-cieco-il-caso-studio-denuncia-gli-effetti-del-junk-food/7753591/ IL TESTO COMPLETO: Hamburger con salsa ranch (cioè con maionese e panna), patatine fritte, ciambelle glassate e succhi di frutta in brick: una dieta limitatissima, quella del ragazzino del Massachusetts, improntata soprattutto su junk food. Alla base di questa selettività c’è l’ARFID (disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo). “L’alimentazione selettiva è comune in pazienti con autismo e ha comportato [nel caso del bambino] carenze nutrizionali associate a disturbi riguardanti il nervo ottico e la retina”, scrivono gli autori del caso di studio pubblicato sul NEJM. Gli autistici hanno infatti dei disturbi sensoriali che si riflettono anche su certi cibi, il cui odore, sapore o consistenza non sono tollerati. Proprio per la consistenza il piccolo americano preferiva quei pochi alimenti, trascurando al massimo i vegetali – tranne i succhi in brick, che per gli esperti non sostituiscono del tutto il frutto fresco. Rifiutava inoltre cibi nuovi e vitamine. E così, una notte si svegliò urlando che non ci vedeva più e fu portato al Boston Children’s Hospital. Cecità permanente Qui i genitori raccontarono che solo sei settimane prima il bimbo aveva cominciato ad avere la visione offuscata mattina e sera, senza che l’optometrista rilevasse nulla. Si appoggiava sempre di più a loro camminando, sbatteva contro porte e muri e aveva gonfiore e croste intorno agli occhi. Poi, d’improvviso, la visione limitata solo a sagome e colori, senza distinguere movimenti e dettagli degli oggetti. I medici diagnosticarono un’atrofia del nervo ottico: lentamente, le cellule nervose avevano cominciato a morire senza segni evidenti. Escludendo altre cause – traumi, infezioni, esposizioni a tossine o a radiazioni – si focalizzarono su una grave carenza di nutrienti causata dalla dieta ristretta: “C’è in particolare una forte evidenza a sostegno della diagnosi delle deficienze di vitamina A, rame e zinco”, si legge nello studio. Oltre a ciò, osservarono deficit di vitamina D, C e K. La somministrazione di vitamine e minerali ristabilì i livelli corretti ma non poté rimediare al danno ottico. I nutrienti mancanti La carenza di vitamina A è tra le principali cause di cecità nei bambini: secondo l’OMS, a livello globale sono 500.000 i piccoli che ogni anno perdono la vista perché non assumono abbastanza vitamina A. Questa è infatti fondamentale per i fotorecettori della retina e per la sensibilità alla luce, e aiuta la visione in condizioni di scarsa luminosità. La vitamina D previene la secchezza oculare, mentre la C protegge dai raggi UV e la K migliora il microcircolo. Rame e zinco sono protettivi della retina. Così il piccolo, certo giustificabile perché autistico, affetto da sindrome da deficit di attenzione (ADHD) e con ritardi cognitivi, linguistici e motori, si privava di preziosi nutrienti. “Il suo è un caso limite, ma probabilmente c’è anche un altro problema oltre a quello sensoriale, forse neurologico non diagnosticato”, osserva il dott. Andrea Coco di Pontedera (PI), esperto di nutrizione clinica, che tra l’altro si occupa della dieta di adolescenti autistici. Malassorbimento dei cibi “L’alimentazione selettiva è un comportamento specifico di questi ragazzini, che hanno un vero e proprio craving per alcuni cibi ricchi di zuccheri semplici. Gli alimenti diventano una boa di salvezza cui aggrapparsi, un rituale e un modo di affermare se stessi”, osserva il dott. Coco. Purtroppo questi cibi ricchi di zuccheri semplici appartengono spesso alla categoria dei junk food, contro cui da anni mette in guardia la scienza. A febbraio, per esempio, uno studio uscito sul BMJ ha individuato legami tra junk food e 32 problemi di salute, tra cui tumori, cardiopatie, malattie polmonari, diabete 2, obesità, ansia, morte prematura. Altri studi hanno denunciato deficit di attenzione in bambini e adolescenti e problemi di salute mentale negli adulti. Certo, non ci vuole un giorno per avere problemi seri, ma purtroppo appare in crescita la diffusione del junk food, tra l’altro a buon mercato e capace di allontanare da alimenti freschi ricchi di nutrienti. “[I cibi spazzatura] possono rappresentare fino al 58% dell’apporto energetico totale quotidiano in alcuni paesi a reddito alto, e negli ultimi decenni stanno rapidamente aumentando in molte nazioni con redditi bassi e medi“, scriveva a febbraio la rivista Scimex, presentando lo studio del BMJ. Non senza conseguenze. “Il junk food promuove un’infiammazione generalizzata di basso grado che coinvolge anche il funzionamento della barriera epiteliale, riducendo così l’assorbimento dei nutrienti”, spiega Coco. “Ne derivano difficoltà nell’assorbimento dei nutrienti, di cui tra l’altro il junk food è poverissimo”. Se questa situazione si inserisce in un quadro già complesso come quello dei ragazzi autistici – spesso affetti da problemi di funzionamento intestinale, sottolinea il medico – la malnutrizione è praticamente garantita. “Occorre allora effettuare una riprogrammazione, aiutandosi con i probiotici per modificare il segnale e togliere il craving biochimico, per poi agire sulla dipendenza mentale e la ritualità, in team con gli educatori”, conclude il medico.
7 novembre 2024
Uno studio dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano evidenzia il legame tra batteri intestinali e risposta all’immunoterapia nel melanoma avanzato, aprendo a nuove strategie terapeutiche e vaccini personalizzati. La ricerca ha coinvolto 23 pazienti in cura all’IEO e al Pascale di Napoli, affetti da melanoma inoperabile e candidati a ricevere la terapia che, bloccando la proteina linfocitaria PD-1, riattiva la risposta immunitaria antitumorale. Da ciascun partecipante sono stati raccolti dati clinici e diversi campioni biologici, sia prima dell’inizio della terapia che mensilmente durante il periodo del trattamento (fino a 13 mesi), consentendo così di associare variazioni del microbiota intestinale con altri marcatori infiammatori ematici. Da un’analisi approfondita dei geni batterici emerge che il microbiota intestinale dei pazienti responsivi all’immunoterapia è arricchito di alcuni geni che portano alla sintesi di peptidi (frammenti di proteine), i quali mimano esattamente la struttura di alcuni dei principali antigeni tumorali espressi dalle cellule di melanoma. Poiché la somiglianza consente a linfociti diretti contro i peptidi batterici di riconoscere anche i loro analoghi tumorali, l’immunità antitumorale ne esce rafforzata. Questa scoperta consentirà in breve tempo di condurre uno screening dei pazienti candidati a immunoterapia grazie ad un test ematico per ricercare linfociti che riconoscono i peptidi batterici analoghi a quelli del melanoma. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Cell Host and Microbe. - FNOB -
Autore: Angela De Laurentiis 5 novembre 2024
La nutrizione nel paziente oncologico in generale e - al polmone in particolare, svolge un ruolo determinante a seconda della necessità della persona. Le macro aree in cui si può intervenire ed essere di aiuto sono: 1- Sostenere il paziente senza nutrire/favorire la crescita del tumore 2- Risolvere stati di astenia, sarcopenia (perdita della massa e della forza muscolare) e cachessia neoplastica (deperimento generale del paziente oncologico). 3- Arricchire la dieta con determinate vitamine massimizzando l'efficacia delle terapie senza entrare in conflitto con esse. 4- Migliorare l’asse intestino-polmone (Microbiota) migliorando effetti collaterali delle terapie e potenziando la risposta immunitaria. Approfondiamo ognuno dei punti elencati per capire come metterli in pratica e tradurli nelle scelte alimentari quotidiane. Ovviamente si tratta di consigli generali che devono essere adattati ad ogni singolo paziente a seconda della concomitanza di altre patologie con l’aiuto di un professionista. 1- Sostenere il paziente senza nutrire/favorire la crescita del tumore. A metà del secolo scorso il premio Nobel Otto Warburg ha scoperto che, durante la loro proliferazione, le cellule tumorali hanno un cambiamento metabolico importante, aumentano il consumo di GLUCOSIO (chiamato anche carboidrato semplice o zucchero) almeno di dieci volte rispetto alle cellule normali. Tale fenomeno le rende capaci di proliferare molto più velocemente delle cellule normali e le rende anche molto più aggressive. Il prodotto di scarto di questo metabolismo è il LATTATO (o Acido Lattico) che viene espulso all’esterno delle cellule, rendendo l’ambiente extracellulare notevolmente acido. Anche questo è un punto cruciale, perché un ambiente acido favorisce l’angiogenesi (formazione di nuovi vasi sanguigni) e di conseguenza la metastatizzazione del tumore. L’intero processo appena descritto è ormai considerato segno univoco e distintivo della trasformazione tumorale delle cellule. Questo consumo di glucosio infatti, viene ormai sfruttato per numerose terapie ed esami strumentali (quali la PET). Bisogna quindi cercare di ridurre la quantità di zucchero (carboidrato semplice) nel sangue per limitare la fonte di sostentamento delle cellule patologiche, e ridurre la quantità di Lattato nel sangue (che se presente in grandi quantità è responsabile di effetti collaterali quali nausea, inappetenza, broncocostrizione, malnutrizione). Non è necessario eliminare il carboidrato dalle tavole, ma basterà ridurne l’indice glicemico, ovvero la sua concentrazione nel sangue. Infatti quando il glucosio è presente in quantità ‘normali’ (inferiore a 100mg/dl a digiuno e 150-170mg/dl dopo i pasti), le cellule sane competono con quelle neoplastiche per assimilarlo e trarne energia. Il risultato è che il quantitativo che arriva a queste ultime non è sufficiente per la loro sopravvivenza, saranno costrette a rallentare il metabolismo risultando anche più vulnerabili. Quando invece la quantità di zucchero in circolazione aumenta (picco glicemico) le cellule normali continuano a consumarne lo stesso quantitativo, in compenso ne avanza molto di più per le cellule neoplastiche che quindi ne hanno a sufficienza per il loro sostentamento e la duplicazione. Tutto questo si trasforma nei seguenti suggerimenti: - Evitare gli alimenti ad alto indice glicemico (ad esempio Farina 0 o 00, zucchero, eccesso di frutta), preferendo come fonti di carboidrati, alimenti quali farine integrali, cereali poco lavorati e legumi. Va limitato anche il riso normale favorendo quello integrale o il basmati (sia normale che integrale dato il suo indice glicemico più basso). - È bene accompagnare il carboidrato con molte verdure che ne abbassano ulteriormente l’indice glicemico. Sarebbe preferibile assumerle all’inizio del pasto, cosi che quando il carboidrato raggiunge lo stomaco trova già le fibre che ne rallentano l’assorbimento (abbassa la concentrazione). Tra le verdure devono essere escluse le patate (si possono utilizzare le patate dolci o Batate) e la zucca che sono essi stessi ricchi di amido (catene di glucosio). - Non inserire la frutta alla fine del pasto. - Non bere succhi di frutta, spremute o bevande ricche di zuccheri. Oltre all’indice glicemico, deve essere mantenuto basso anche il CARICO GLICEMICO. Questo è direttamente correlato alla quantità di insulina che viene rilasciata nel sangue a seguito dell’ingestione di taluni carboidrati. Quest’ultima infatti favorisce la produzione di IGF, un ormone che nel tumore al polmone correla direttamente con un’aumentata crescita di cellule cancerose e aumento della loro migrazione. I suggerimenti nutrizionali elencati prima serviranno anche ad abbassare il carico glicemico. 2- Risolvere stati di astenia, sarcopenia (perdita della massa e della forza muscolare) e cachessia neoplastica (deperimento generale del paziente oncologico). La perdita di peso (superiore al 15% del peso iniziale), che avviene soprattutto a carico della massa muscolare, con comparsa di astenia, stanchezza, alterazione delle funzioni fisiche o riduzione della tolleranza ai trattamenti (Cachessia neoplastica) è un problema molto importante nel paziente oncologico. Tra il 15 e il 40% dei pazienti presenta questi problemi già al momento della diagnosi, percentuale che peggiora durante le terapie per arrivare a colpire circa il 40-60% delle persone in cura. Nel tumore al polmone il coinvolgimento è di 1 persona su 3 alla diagnosi e di 1 su due durante le terapie. La cachessia ha ripercussioni importanti sui trattamenti oncologici e sui risultati delle cure; è stato dimostrato che circa il 20% dei pazienti deve sospendere le terapie a causa della cachessia, con prognosi funesta. Nonostante questi numeri, purtroppo il problema viene ancora sottovalutato; spesso non si interviene in modo tempestivo quando il rischio di malnutrizione sarebbe più semplice da contrastare. Questa perdita di peso è purtroppo dovuta a numerosi fattori, e il tipo di intervento deve essere mirato e personalizzato. I motivi principali sono nausea, stanchezza, dissenteria o stipsi, senso di pesantezza e incapacità di digerire correttamente (dispepsia), malassorbimento, disfagia. Per aiutare a superare questi problemi correlati alla perdita di peso le indicazioni principali sono: - Fare almeno 5 pasti al giorno e scegliere, soprattutto nelle merende, alimenti ipercalorici che siano però facilmente digeribili (ad esempio grana o parmigiano, olive, crema 100% arachidi, frutta a guscio). Inserire un carboidrato a basso indice glicemico in un pasto principale e nell’altro una buona fonte di proteine. La maggior parte delle calorie deve provenire da grassi ‘buoni’ semplici da digerire (insaturi quali: olio extravergine di oliva premitura a freddo, avocado, ecc.) e molte proteine che sono fondamentali per contrastare la perdita muscolare (un pasto al giorno deve essere proteina e la settimana può essere divisa in: carne due volte alla settimana sia banca che rossa (NO INSACCATI), il pesce due volte, le uova se le transaminasi lo permettono, formaggi delattosati). Sottolineo che la carne va benissimo sia bianca (preferibilmente tacchino o coniglio) sia rossa, l’importante è che non sia processata (gli insaccati e gli affettati devono essere evitati). Spesso i pazienti, allarmati da falsi miti, decidono di togliere totalmente la carne dalla loro tavola, ecco perché vorrei ricordare due cose importanti: la prima è che prevenzione e cura del tumore sono due STATI assolutamente differenti. La seconda è che il legume contiene solo il 20% di proteina (il resto è tutto carboidrato e grasso), quindi assolutamente insufficiente a sostituire quella animale, a meno che non lo si mangi sia pranzo che cena. Il carboidrato ricordo che non deve superare il 40% dell’introito calorico giornaliero. - In caso di nausea che impedisce la normale assunzione calorica si può utilizzare un estratto PURO di zenzero. Inoltre alcuni altri accorgimenti possono risultare molto utili. Al mattino è bene non alzarsi subito dal letto ma mangiare una galletta di riso integrale che asciuga il succo gastrico notturno che se entra in circolo attiva il senso di nausea. Può inoltre essere d’aiuto l’utilizzo dei braccialetti anti- nausea venduti in farmacia (quelli per i mezzi di trasporto). Se con queste indicazioni l’appetito e l’apporto calorico rientrano non servono altre indicazioni. - In caso di inappetenza lieve ma persistente: diminuire gli alimenti integrali le cui fibre insolubili aumentano il senso di sazietà, quindi preferire i cerali semi-integrali quali il kamut, farina tipo2 o cereali decorticati. Cercare di NON bere durante i pasti ma aspettare almeno 40min. Pasti con pochi alimenti per volta al fine di favorirne l’assimilazione. - Laddove l’inappetenza fosse importante, con perdita continua di peso, SARCOPENIA e CHACHESSIA importanti, è necessario affiancare al piano nutrizionale, integratori ipercalorici e iperproteici. Si noti che gli ultimi studi dimostrano che la migliore integrazione per combattere la cachessia e la sarcopenia e riprendere una buona massa muscolare non è un’integrazione di semplice proteine. I risultati migliori si ottengono da integrazione contemporanea di proteine del latte, aminoacidi e vitamina D. (integratori appositamente formulati per il paziente oncologico hanno queste caratteristiche ad esempio ONCOFORTE da richiedere nelle farmacie che si riforniscono dalla ditta Viprof). È noto inoltre che l’integrazione di vit. B1 stimola l’appetito e favorisce digestione e assimilazione. In casi più gravi si può chiedere il parere del medico ed intervenire con una nutrizione artificiale. - Se le problematiche sono invece meccaniche (disfagia), è essenziale intervenire tempestivamente con una nutrizione enterale, senza attendere una perdita di peso superiore al 20% (questa percentuale dipende dalle condizioni di partenza del paziente, potrebbe essere necessario intervenire anche molto prima di tale percentuale). 3- Arricchire la dieta con determinate vitamine massimizzando l'efficacia delle terapie senza entrare in conflitto con le terapie. Negli ultimi 10 anni, sono stati condotti numerosissimi studi (che hanno coinvolto migliaia di pazienti) con l’obiettivo di fare chiarezza su quali vitamine si possano assumere, in quali fasi della patologia e in quali dosi. Mentre i meccanismi di azione non sono stati del tutto chiariti, i benefici o meno dell’integrazione, sono ormai ben noti. È stato ad esempio dimostrato che la vitamina C ha un effetto positivo nei pazienti con diagnosi di carcinoma polmonare. Non solo se ne è dimostrata l’efficacia nel migliorare la qualità di vita durante le terapie (minore tossicità, migliore sistema immunitario, miglioramento dell’astenia), ma la sua supplementazione aumenta notevolmente la sensibilità delle cellule tumorali alla chemioterapia. Simili risultati si sono osservati anche con la vitamina D. Inoltre la supplementazione di quest’ultima ha mostrato anche un effetto positivo nella prevenzione primaria, diminuendo l’incidenza del tumore al polmone nei soggetti che la integrano. Al contrario delle vitamine sopra citate, numerosi quesiti sono ancora aperti sulle vitamine B6 e B12. La vitamina B12 (o Cobalamina) è essenziale in tutte le cellule per la proliferazione e la produzione di ATP (energia) per la loro stessa sopravvivenza. Poiché queste funzioni sono fortemente accentuate nei tumori, le cellule cancerogene sono molto avide di Cobalamina. Questo, insieme al fatto che alcuni tumori polmonari (tra cui l’adenocarcinoma), aumentano la quantità di recettore per questa vitamina (il recettore è la proteina che usa la B12 come traghetto per entrare nelle cellule) hanno fatto sì che la B12 fosse sotto inchiesta per molti anni. Ad oggi gli studi dimostrano che l’assunzione di questa vitamina correla con l’aumento nell’insorgenza di tumore al polmone, l’aumento della diffusine metastatica e il peggioramento della prognosi (soprattutto nell’adenocarcinoma e nelle terapie quali chemioterapia e immunoterapia). Dall’altro lato però la B12, grazie al suo ruolo nella sopravvivenza cellulare, sembra migliorare notevolmente la tossicità delle chemioterapie e la ripresa del sistema immunitario nei pazienti con diagnosi di non-small-cell lung cancer, rendendo possibili le terapie anche in pazienti fortemente debilitati o a rischio tossicità. Ad oggi se ne sconsiglia fortemente la supplementazione a meno che non sia l’oncologo a valutarne la necessità in caso di pazienti con sistema immunitario a rischio. Per quanto riguarda la vitamina B6, poiché non sono state osservate correlazioni con l’insorgenza della malattia, possono essere integrate nei soggetti sani. In caso però di diagnosi di malattia oncologica le osservazioni sono del tutto simili a quelle appena descritte per la vitamina B12. Anche in questo caso quindi, è preferibile NON integrarle a meno di importante necessità indicata dall’oncologo. 4- Migliorare l’asse intestino-polmone (Microbiota). Sono ormai centinaia le ricerche scientifiche che studiano il nostro microbiota, ovvero i coinquilini batteri che vivono nel e sul nostro corpo. Tantissime specie di batteri, virus e funghi vivono nell’intestino, ma anche sulla pelle o nella bocca. Ormai è chiaro che non sono ospiti e osservatori nella nostra salute, ma sono attori che partecipano attivamente nella nostra biologia di tutti i giorni e in molte malattie tra cui il cancro. Agiscono non solo sulla prevenzione, ma anche sulle cure e sugli effetti collaterali di queste ultime (10). Coloro che hanno una maggiore biodiversità del microbiota intestinale, dovuto a una sana alimentazione o ad una integrazione con cibi fermentati, presentano una diminuzione di infiammazioni rispetto al gruppo di controllo. Questa diminuzione correla direttamente con una più bassa incidenza di tumore e ad una migliore risposta alle terapie. Ad esempio i batteri che producono acido butirrico e pentoato aumentano l’efficacia di immunoterapie quali l’anti-PD1. Viste le numerosissime evidenze osservate anche nell’aiutare un paziente oncologico nel contrastare gli effetti collaterali delle terapie, ha preso sempre più piede il trapianto fecale. Questo permette, non solo di migliorare la varietà di flora batterica molto rapidamente, ma fa sì che questi microorganismi attecchiscano nel nostro intestino in modo permanente. Non per ultimo, alcuni ceppi inseriti a cavallo dei giorni della chemioterapia, prevengono stati di dissenteria o stipsi spesso legati ai farmaci oncologici. I batteri non sono tutti uguali, e piuttosto della quantità, un buon probiotico deve offrire più ceppi batterici in modo da essere completo. Tra i batteri maggiormente coinvolti nel migliorare il sistema immunitario e la ripresa dopo le terapie c’è il saccharomyces Boulardi. B. Longum e L. Casei sono invece maggiormente coinvolti nel riassorbimento alimentare e quindi favoriscono la ripresa da stato di astenia e malnutrizione. L. Casei, E. Fecium e S. Thermophilus sono cruciali per i problemi di dissenteria e stipsi. Uno dei ceppi batterici che sta riscuotendo particolari consensi negli ultimi anni è quello appartenente alla famiglia dei Firmicuti, produttori di acido butirrico. In Cina questo acido è abbinato da anni alle immunoterapie, in Italia è stato approvato da poco e l’ingresso sul mercato è recente (11). Tra gli integratori di probiotico che maggiormente suggerisco ci sono Butirriflora (che contiene sia i probiotici citati sia l’acido butirrico)(va richiesto alle farmacie se distribuiscono viprof, in quel caso possono procurarlo, oppure online) , Butirrisan (che integra solo acido butirrico e quindi andrebbe affiancato sempre ad un probiotico)(distribuito pharmaextracta, quindi nelle farmacie che la trattano). Spesso, in caso di stipsi o dissenteria dovuta alle terapie, suggerisco un’integrazione dal giorno prima dell’infusione, fino a 3-4 giorni dopo, o fino a regolarizzazione dell’alvo.
Autore: Angela De Laurentiis 13 ottobre 2024
Parliamo di terapie e alimentazione con ALCASE italia - Per la lotta al cancro del polmone. Ho avuto il piacere di essere invitata come esperta. Qui di seguito il link facebook per il video
9 luglio 2024
La salvia è stata associata in passato a diverse proprietà curative. Considerata una buona fonte di antiossidanti, contiene vitamine che si rivelano preziose alleate del funzionamento del metabolismo e minerali in grado di aiutare cuore, ossa, denti e cervello. Ma non solo, perché secondo il gruppo di ricerca di Università di Padova e Istituto Veneto di Medicina Molecolare guidato da Andrea Alimonti e Monica Montopoli, dalla salvia haenkei potrebbe arrivare una nuova possibile arma anti-invecchiamento in grado di attaccare le cellule senescenti. “Gli studi pre-clinici condotti dal nostro team di ricerca hanno dimostrato che una bassa dose di un estratto botanico di salvia haenkei (Haenkenium, Hk) può prolungare l’aspettativa di vita in modo più sano” ha spiegato Alimondi. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Nature Aging.
9 luglio 2024
È ormai noto quanto l’alimentazione incida sul nostro stato di salute. Malattie cardiovascolari, tumori, ma anche il declino cognitivo possono essere accelerati oppure ritardati grazie a una dieta corretta ed equilibrata. In merito a ciò, nuove ricerche hanno messo in evidenza la correlazione tra un regime alimentare sano e l’invecchiamento cerebrale. In particolare, uno studio ha seguito oltre tremila persone per ben 75 anni per dimostrare come mangiare bene fin da giovani possa aiutare il cervello a mantenersi attivo anche da anziani. I cibi in grado di fornire un concreto sostegno si sono rivelati – e non è una sorpresa – frutta e verdura, legumi e cereali integrali. In più per mantenere un’alimentazione effettivamente sana non bisogna eccedere con zuccheri aggiunti e cereali raffinati, così come suggerito dalle linee guida dietetiche Usa 2020-2025. Dunque, mangiare bene aiuta a invecchiare bene.
24 maggio 2024
Gli emulsionanti sono stati messi sotto la lente d’ingrandimento degli scienziati con l’accusa di contribuire a obesità, cancro, malat-tie cardiovascolari e infine – come scoperto in un recente studio prospettico di coorte NutriNet – a diabete di tipo 2. Questi composti “messi alla sbarra” fanno parte di una famiglia di additivi alimentari universalmente utilizzati per migliorare consistenza, forma, colore e gusto in molti cibi processati e ultra-processati. Inoltre sono utili a miscelare liquidi come acqua e oli grazie ai loro legami polari. Sono additivi che si trovano nella maggior parte dei cibi tra gli scaffali dei supermercati: cioccolato, bis-cotti, prodotti da forno, maionese, salse e altri tipi di olii. Nonostante sulla base di criteri di citotossicità e genotossicità siano considerati sicuri per l’alimentazione, sono sempre più in aumento le evidenze scientifiche dei loro effetti sulla salute, in particolar modo le conseguenze sono negative per il microbiota intestinale con rica-dute su infiammazioni ed alterazioni metaboliche. Tra i 61 emulsionanti identificati, sono sette in particolare quelli associati al rischio di sviluppare diabete di tipo 2: E407 (carragenine totali), E340 (esteri di poliglicerolo di acido ricerolo), E472e (es-teri di acidi grassi), E331 (citrato di sodio), E412 (gomma di guar), E414 (gomma arabica), E415 (gomma di xantano), oltre a un gruppo chiamato ”carragenine”. Nello specifico, gli additivi sono stati assunti nel 14,7% da prodotti come biscotti e torte, nel 10% da prodotti lattiero-caseari e nel 5% da frutta e verdura ultra lavorata. - FNOB-
1 maggio 2024
Un gruppo di ricercatori coordinato dall’Università di Padova ha scoperto un meccanismo d’azione con cui l’acido acetilsalicilico sembra attivare una risposta immunitaria contro il cancro del colon-retto. «Nella prima parte dello studio – spiega Marco Scarpa, coordinatore del gruppo di ricerca – abbiamo analizzato retrospettivamente campioni e dati di pazienti con diagnosi di cancro al colon-retto operati tra il 2015 e il 2019. Abbiamo quindi studiato, sempre in campioni ottenuti dai pazienti, l’espressione dell’mRNA dei geni associati alla sorveglianza immunitaria nelle cellule primarie di cancro del colon-retto di pazienti che assumevano acido acetilsalicilico». Rispetto ai campioni di tessuto di pazienti che non assumevano il farmaco, quelli ottenuti da pazienti che lo assumevano hanno mostrato una minore diffusione del cancro ai linfonodi e una maggiore infiltrazione di cellule immunitarie nel tumore. Nelle analisi sulle cellule tumorali di colon-retto in laboratorio, l’esposizione di tali cellule all’acido acetilsalicilico ha causato un aumento della proteina CD80, un modulatore della funzione immunitaria. Tale incremento sembra aver migliorato la capacità delle cellule di allertare altre cellule di difesa sulla presenza di proteine associate al tumore. A sostegno di questa scoperta, i ricercatori hanno anche evidenziato che nei pazienti con cancro del colon-retto, chi assumeva acido acetilsalicilico avevano livelli di proteina CD80 più elevati nel tessuto rettale sano, suggerendo così che il farmaco induca un effetto di sorveglianza immunitaria. L’articolo dal titolo “IMMUNOREACT 7: Regular aspirin use is associated with immune surveillance activation in colorectal cancer” è pubblicato sulla rivista Cancer.
5 aprile 2024
Le spezie e le erbe aromatiche tipiche della dieta mediterranea hanno benefici significativi nel migliorare lo stato glicemico nel diabete di tipo 2. Non tutte, però: il palmares comprende zenzero, cannella e cumino nero, curcuma e zafferano. Il dato emerge da una review e metanalisi, pubblicata su Nutrients. Nell'analisi di 77 studi, 45, che hanno coinvolto 3.050 partecipanti, sono stati inclusi nella metanalisi e 32 nella revisione sistematica. I criteri di inclusione degli studi prevedevano pazienti adulti con diabete di tipo 2, con dati sulla glicemia a digiuno e/o emoglobina glicata e/o insulina e comprendevano qualsiasi integrazione con cumino nero, chiodi di garofano, prezzemolo, zafferano, timo, zenzero, pepe nero, rosmarino, curcumina, cannella, basilico e/o origano. Il numero di studi su chiodi di garofano, prezzemolo, timo, pepe nero, rosmarino, basilico o origano e la loro associazione con i fattori glicemici nei soggetti con diabete di tipo 2 era insufficiente, quindi l'analisi si è concentrata principalmente sui restanti cinque ingredienti: cannella, curcumina, zenzero, cumino nero, zafferano e rosmarino. Sono stati osservati miglioramenti nella glicemia a digiuno dei soggetti con diabete di tipo 2 con tutti e cinque gli ingredienti. Tuttavia, le diminuzioni più significative, tra 17 mg/dl e 27 mg/dl, si sono verificate dopo l'integrazione con cumino nero, seguito da cannella e zenzero. Solo lo zenzero e il cumino nero sono stati associati a un miglioramento significativo dell'emoglobina glicata e solo cannella e zenzero sono stati associati a una diminuzione significativa dei valori di insulina. Degli 11 studi che includevano la cannella nella metanalisi, sei hanno riportato differenze significative nella glicemia a digiuno, mentre quattro avevano differenze nell'emoglobina glicata dopo l'integrazione. Infine, lo zenzero è stato l'unico componente associato a una diminuzione significativa in ciascuno dei tre risultati esaminati relativi a glicemia a digiuno, emoglobina glicata e insulina. (E.T.)
2 aprile 2024
Ho trovato questo articolo molto utile. Aggiungerei soltanto che, di conseguenza, non solo il tipo di alimenti, ma la corretta forma in cui lo si assume, non è da sottovalutare. https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/m/metalli-pesanti-negli-alimenti?fbclid=IwAR3jDJmE2UT3zDNC0Rqt-8UeAHxtB-UEgy8QSStJGpDq_iiw2uK25m0hnUM_aem_AUHiqQz_roPYKrb_9d9DwPVfd8acu1p4ErVkMCB4uCVguAC7dysKDh7F0oabkYNO1nf7VlfQN_dmncjx8XpTnsN3
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